A 42 anni e dopo 10 anni di lavoro nel marketing, sono arrivato a una conclusione banale: non tutte le opportunità di lavoro sono uguali. Chiamali lead, chiamali contatti, chiamali potenziali clienti, di fatto sono quello a cui tutte le aziende e attività commerciali puntano.
Recentemente mi è capitato di seguire un’azienda che ha messo in competizione due agenzie di marketing. Una sorta di A/B test tra due agenzie e due paesi abbastanza simili tra loro. La mia ha portato pochi contatti, l’altra ne ha portati una valanga. “Un fallimento“, potrebbe dire qualcuno, ed è in effetti quello che ho pensato subito anche io, sempre pronto a indossare il cilicio e ad auto flagellarmi.
Poi siamo entrati un pochino più nel dettaglio, valutando la qualità dei lead generati e di quelli che sono diventati prima prospect e poi clienti. Non voglio dire com’è andata a finire, anche perché sarebbe fin troppo banale scrivere che i nostri si sono dimostrati contatti migliori e hanno generato milioni di euro di contratti. Non è così, ma c’è un dato abbastanza scientifico sul quale riflettere.
Il nostro cliente ha bisogno di lead provenienti da aziende con un certo livello di fatturato, altrimenti non riesce a proporre i propri piani di consulenza che, ahimè, sono abbastanza costosi. Peccato che non ci sia modo di discriminare in questo modo i contatti. O meglio, ci sarebbe, ma sarebbe troppo restrittivo per altri motivi. Tuttavia, se imposti la comunicazione in un certo modo, e se sei trasparente nei confronti del tuo pubblico, saranno gli utenti stessi a capire se il servizio che offri e adatto o meno alla loro azienda.
Cosa cambia alla fine? Che se a un’operazione di marketing di questo genere rispondono 100 lead, di cui 95 poi si scopre essere fuori target, hai probabilmente investito una buona quantità di tempo e risorse a fare telefonate, incontri, analizzare proposte, fare offerte, etc. Se ne rispondono 20, di cui 15 sono in target, non solo sprecherai meno tempo, ma hai anche più possibilità di riprendere quei contatti che non sono diventati clienti in futuro. Insomma, male che vada ti rimarrà una lista di contatti molto validi.
Un lettore è come un lead: più alta è la qualità e più alto è il valore
Non so perché ma sono arrivato a questa riflessione per via di una newsletter a cui sono iscritto. Le newsletter, quelle vere, stanno tornando di moda. Questo lo sanno un po’ tutti. In fondo, un’informazione di qualità che ti arriva nella casella di posta, senza nemmeno fare la fatica di cercarla, è una gran bella cosa. Ma chi è che volontariamente si iscrive a una newsletter? Innanzi tutto sarà qualcuno che avrà voglia di leggere e di informarsi. Attenzione: non voglio fare un discorso bigotto e classista. Non sto dicendo che chi si iscrive alle newsletter e dunque legge e s’informa, è una persona migliore di chi non lo fa o si informa tramite i social. Tendenzialmente però è un profilo più interessante per questo genere di attività.
La riflessione dunque è stata: con le newsletter si raggiungono meno lettori rispetto a un qualsiasi quotidiano o magazine online. Ma quanto è differente la qualità di un lettore che ha scelto volontariamente di iscriversi, ricevere una mail con le notizie, e che quindi probabilmente leggerà tutto con attenzione? Non c’è paragone. Un lettore che si è iscritto a una newsletter vale almeno cento lettori occasionali di un sito web.
Peccato che le concessionarie pubblicità però paghino a impressioni, o a clic (nel 90% dei casi assolutamente casuali). Quindi interessa più la massa che la qualità (altra considerazione banale). Non siamo ancora arrivati alla pubblicità sulle newsletter. Ci arriveremo, ma quanto varrebbe di più una pubblicità su 100 lettori di una newsletter rispetto a un banner su un sito che fa milioni di contatti al giorno?
È evidente che sono considerazioni di chi, come chi scrive, vive con una gamba nel mondo della pubblicità e con l’altra nel mondo dell’informazione. Sogno un mondo fatto di magazine a pagamento, con un’informazione di qualità che non sia schiava della SEO per poter fare un clic in più e sopravvivere con quei pochi centesimi che le concessionarie di pubblicità restituiscono a chi cerca di fare un mestiere oggi troppo difficile.
Si tornerà mai a quel mondo lontano dove ogni mese si andava in edicola e si decideva di investire 5.000 lire per leggere articoli e approfondimenti su un argomento specifico? C’è chi ce la sta facendo. Ci sono magazine online che sopravvivono di donazioni. Ce ne sono altri di settore che richiedono un abbonamento. Tuttavia manca ancora il sistema. Se chiedessimo alla massa se siano disposti a pagare una cifra mensile, seppur contenuta, per poter accedere a un’informazione di qualità e senza pubblicità invasiva, probabilmente risponderebbero che basta usare un ad-block. Senza sapere che quello è un circolo vizioso che strozza le redazioni, porta a pagare sempre meno chi scrive e di conseguenza condanna l’informazione a un azzeramento della qualità e delle prospettive di approfondimento.
La qualità, questo è quello che volevo dire già 5.000 caratteri fa, farebbe bene a tutti: a chi legge, a chi scrive e anche a chi cerca di fare del business. Una cosa non esclude l’altra. Un contatto di qualità vale 100 contatti scarsi (se non 1000). Esattamente come il lettore di qualità. E allora cosa aspettiamo?