Apple dice no all’FBI: marketing o tutela della privacy?

By FRANCO AQUINI

La notizia è di quelle importanti: l’FBI chiede di poter frugare nei meandri di un iPhone, ma le ultime versioni del sistema operativo cifrano i dati in maniera totale. Di fronte alle richieste dell’FBI Tim Cook, CEO di Apple, dice no.

Chissà per quanti anni si parlerà di questo caso. Il primo forse, in cui una grande azienda americana si rifiuta di collaborare col proprio governo. I fatti sono ormai noti, gli inquirenti sperano di poter tirar fuori qualche informazione dall’iPhone 5c del terrorista Syed Rizwan Farook, che nel dicembre scorso, insieme ad altri 2 killer, ha compiuto la strage al centro assistena di San Bernardino. Ma per farlo ha bisogno del supporto tecnico della Apple, che ad oggi non può nemmeno fornirlo. Gli iPhone infatti, a partire dalla versione 8 del sistema operativo iOS, cifrano in automatico i dati senza che l’utente lo sappia. Intendiamoci, magari tutti i dispositivi avessero la crittografia abilitata di default! Fatto sta che l’iPhone ce l’ha.

Cosa chiede quindi l’FBI alla Apple? Chiede di poter creare una versione ad-hoc del sistema operativo con delle speciali backdoor per poter violare il sistema. In particolari casi, s’intende, ma Apple risponde no. Tim Cook, in una nota ufficiale, dice:” Sarebbe un precedente pericoloso”. E il mondo improvvisamente si spacca in due, chi è a favore della totale levata di scudi in favore della privacy e chi invece sostiene, come il magnate Donald Trump, che l’azienda debba per forza collaborare.

Quello che ci interessa davvero è capire se, ma vi anticipo subito che non ci arriveremo mai, quella di Cook è l’ennesima mossa sapiente dalla regina assoluta del marketing, o piuttosto è una vera, sana e indiscutibile difesa della propria privacy, in un paese in cui la tutela personale dalle mani del grande fratello, è tutto.

La risposta, secondo me, è molto semplice: sono entrambe le cose insieme. Apple fa da sempre della sicurezza il proprio cavallo di battaglia, primo perché fa molta presa sul pubblico americano, secondo perché è l’unica vera differenza importante rispetto alla rivale Google.

Che poi questo diventi un’occasione troppo ghiotta per urlare al mondo intero quanto ce l’abbia più duro dei rivali di Mountain View, questo diventa perfino banale. Ma a questo punto era inevitabile che si facessero avanti tutta una serie di oppositori, fautori della teoria del complotto, dietrologi, sostenitori accaniti dell’uno o dell’altro sistema operativo, e via dicendo.

La vulgata più comune? “Apple da anni collabora, ma in questo caso ha voluto fare la bella faccia davanti al mondo intero”. Non lo dico per fanatismo nei confronti della mela, figuriamoci. La mia riflessione è un’altra: chi glielo fa fare a un colosso che ha tanta liquidità da poter sanare il debito pubblico italiano con un bonifico, di rischiare la faccia passando dei dati privati alle autorità? Non fosse esistito un caso Wikileaks, potremmo anche pensare che sia impossibile che le questioni che riguardano il governo americano escano fuori dalle solide mura dell’FBI o dell’NSA, ma essendo invece diventato molto noto un personaggio come Julian Assange, io credo che tutta questa sicurezza che certe informazioni non trapelino non ci sia. E allora perché giocarsi la faccia e la reputazione facendo il doppio gioco con il proprio pubblico? Tanto più che parliamo del paese delle class-action fantastellari. No, non ci credo. Piuttosto bisogna applaudire al modo in cui quest’azienda riesca sempre a rigirare a proprio vantaggio qualsiasi quesitone. Questo è vero marketing d’assalto. Chissà da quanto tempo aspettavano il momento di poter dire indirettamente al proprio cliente: “stai tranquillo, alla tua privacy ci penso io” (basta che continui a comprare Apple).

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